martedì 23 settembre 2008

V. Bertarelli, 1897-Viaggio in Calabria


Nella seconda metà dell'800 l'espansione industriale diede grande impulso alla tecnologia.
Il perfezionamento della lavorazione dei metalli, la nascita della catena, dei cuscinetti a sfera, dei raggi, e, sopratutto, del copertone pneumatico,
Permisero di rendere finalmente sicuro e affidabile per l'uso ordinario uno strumento che fino ad allora aveva rappresentato poco più che un divertimento da cortile, il biciclo.
La nascita della bicicletta nella forma che conosciamo si compì nel 1889 con la safety bicycle.
Da quel momento la bicicletta (o bicicletto come veniva anche chiamata) uscì dai cortili e divenne mezzo di trasporto.
In pochi anni, grazie alle migliorie tecniche e alle infinite varianti (i fattorini usavano un triciclo con vagoncino) ogni ceto sociale poté pedalare, dal commesso al reale, tanto che il consiglio di stato decise che i comuni potevano imporre una tassa sul possesso del biciclo.
Non mancavano poi i detrattori del nuovo mezzo, la chiesa vietò ai preti di utilizzarlo e l'osservatore romano scrisse un articolo nel quale metteva in relazione il ciclista con l'anarchico.
"Chi è mai questo ciclista? si chiedeva: non è un pedone, né un cocchiere, né il macchinista di un treno e non è neppure un animale da tiro. È invece «un che di ermafrodito, di indefinibile, di inclassificabile, che sfugge ad ogni legge di moto, di trazione, di trasporto."
Nonostante le voci contrarie la moda dilagava, si iniziò ad usare la macchina per viaggiare, nel 1894 la neonata rivista "la bicicletta" organizzo la prima Milano-Torino. Nello stesso anno naque il TCCI (Touring Club Ciclistico Italiano) che più avanti divenne il TCI (Touring Club Italiano).
Tra i fondatori del TCCI e redattore de "la bicicletta", Vittorio Bertarelli, Industriale milanese ma sopratutto grande viaggiatore e sportivo.
La sua grande intelligenza e curiosità lo portarono a diventare un grosso industriale. Nonostante l'agiatezza fu uno sportivo eccezionale, partecipò(stabilendo alcuni record) alle prime ultramaratone podistiche e ovviamente fu uno dei primi cicloturisti italiani.
Nel 1897 decise di intraprendere un viaggio che lo portò a percorrere il sud Italia: Basilicata, Calabria e Sicilia.
Del viaggio in Calabria ho letto e mi sono appassionato grazie alla pubblicazione del suo diario di viaggio.
Considerando i mezzi, le altimetrie e le strade dell'epoca, il gesto ha dell'incredibile.
Il viaggio durò cinque giorni, Il bertarelli arrivò a Reggio Calabria dopo un viaggio di "sole" 36 ore in treno e da lì partì con destinazione Eboli in Campania.
L'itinerario si sviluppò quindi da Sud verso Nord, lungo la grande strada delle Calabrie, all'epoca la principale via di comunicazione.
Il tracciato in massima parte ricalca quello della via Popilia, strada romana che nei secoli andò in rovina e venne poi rimessa a nuovo dai Borboni.
Fino a poco tempo fa era denominata Statale 18 fino aNicastro e Statale 19 fino a Reggio, oggi invece è segnalata con decine di sigle diverse.

Il Bertarelli era sicuramente la persona più indicata per il viaggio, non solo aveva grande allenamento, ma era anche assennato.
La rivista "la bicicletta" dava consigli per i ciclisti:
"consultare un medico, prima di imparare ad andar in bicicletta e di non fare economie sul prezzo di acquisto del velocipede. Il vitto doveva essere sostanzioso ma leggero: bisognava quindi mangiar poco e sorbire bevande non ghiacciate e possibilmente amare, come acqua e assenzio. L’abito era consigliabile di color bianco in estate e scuro in inverno. Bisognava evitare le strade troppo polverose, pedalare appaiati, rallentare ai crocevia, non abbandonare mai il «timone» (o manubrio), munirsi di un campanello squillante, rasentare sempre il marciapiede di sinistra e per prudenza scendere in prossimità di capannelli di persone. Mai usare il revolver contro i cani (le aggressioni dei cani erano all’ordine del giorno e spesso le povere bestie erano abbattute), semmai lanciar loro pietre; mai accogliere le provocazioni dei cavalli o rispondere alle ingiurie dei conducenti dei tram. Contro i monelli, era preferibile usare il frustino. Scegliere una sella dura e non una morbida e di indossare una fascia addominale per ripararsi dalle correnti d’aria sulla schiena."
Inoltre il Bertarelli aveva escogitato un modo per non doversi caricare di troppe borse, egli spediva dei pacchi contenenti alimenti e ricambi nelle stazioni postali dei Paesi dove calcolava di doversi fermare.
In questo modo poteva viaggiare leggero e sicuro di non patire la fame.

Del mezzo utilizzato non sappiamo molto, nemmeno presso l'archivio del TCI ho potuto reperire informazioni o fotografie sulla macchina pedalata dal Bertarelli.
In quegli anni poi le innovazioni si susseguivano velocemente, tanto che è difficile capire le caratteristiche tecniche solo dalla data del viaggio.
Di certo sappiamo che si trattava di un biciclo a scatto fisso,
ne è prova un passo del diario:
"Tutto Mormanno (un paese dove aveva fatto sosta, n.d.r) si è riversato all'uscita, d'onde la strada discende, sospesa sulla valle a grandi muraglioni, in pendio dolce del quattro per cento.
-Ora vi mostro io cos'è la bicicletta- E, con poco merito,(la pendenza è favorevole) attacco un passetto di trentacinque chilometri, in cui il mio da fare è di tenere coi piedi i pedali che vanno da sé. "
è esattamente la descrizione di una discesa fatta con lo scatto fisso!
Molto probabilmente il suo mezzo era dotato di un freno detto a Tampone, dove un gommino, azionato da una leva al manubrio, premeva sul copertone della ruota anteriore.
Non è dato sapere se fosse dotato di giro ruota con un rapporto più agile per le salite o se dovesse contare su un singolo rapporto.

Le tappe del viaggio furono da 120-200 chilometri, con dislivelli fino a 2000 metri e salite con pendenza media dal 7% al 10% e anche più nel caso della salita della Dirupata. Dovendo pedalare su un mezzo a scatto fisso con un freno a tampone, anche le discese non furono meno faticose, sicuramente molto pericolose.
Un pericolo a lui sconosciuto era il traffico, sulle strade gli incontri erano rarefatti, qualche carro e qualche viandante a piedi.
In una occasione, verso Villa San Giovanni, egli incontra un'altro bicicletto, fu l'unico avvistamento del genere fino ad Eboli.
Al di là dell'aspetto "sportivo" è da sottolineare l'aspetto sociale del viaggio.
All'epoca gli uomini del sud erano considerati tutti dei briganti con i cappelli a cono, ostili verso i forestieri.
Bertarelli si ricrede, la gente fu sempre ospitale, trovò sempre chi divise il pur magro companatico e chi gli offrì un posto per riposare, nonostante fosse norma dormire insieme, tutta la famiglia e spesso anche gli animali, in un'unico stanzone.
La gente manifestava grande curiosità verso la bicicletta, a Tarsia dei Fabbri rimasero stupiti dal poco attrito che produceva il movimento della ruota grazie ai cuscinetti a sfera (ancora sconosciuti in Calabria).
In ogni paese tutti gli abitanti accorrevano al suo passaggio e si stringevano a lui per conoscerne la storia, la provenienza, le caratteristiche del mezzo.
I Calabresi si dimostrarono anche più gentili della gente del Nord.
In un episodio un cavallo si imbizzarrì alla vista della bicicletta e rovesciò il carro con i suoi occupanti. Essi però , dopo aver controllato che non ci fosse nulla di rotto, furono addirittura accomodanti. Il Bertarelli, già pronto ad usare il revolver in caso di ostilità, si stupì della reazione e si domandò cosa sarebbe successo in una situazione simile al nord Italia.
tutto sommato, nonostante l'estrema povertà e arretratezza tecnologica, il viaggio si svolge in un periodo tranquillo per la Calabria, il brigantaggio era praticamente scomparso e la pace era duratura da tempo.
Solo qualche anno dopo, tremendi terremoti devasteranno la regione, la guerra e i nuovi briganti faranno il resto.
Il viaggio in bicicletta, secondo Bertarelli, ha come vantaggio quello di poter "cinematografare" con gli occhi il paesaggio. Diversamente dal viaggio a piedi o in treno che, a causa di velocità rispettivamente troppo lente e troppo veloci, non consentono ciò.
Aggiungo che la fluidità della pedalata (sopratutto se a scatto fisso) si armonizza perfettamente con la fluidità del pensiero che mano mano scorre lungo i paesaggi e le genti incontrati.
Concludo con il suo pensiero finale.
Al termine del viaggio, appoggiato ad una colonna del tempio di Nettuno a Paestum, scrive:
"a voi giovani che avete occhi e mente, forza e tempo, a voi mi avete compreso dico: avanti: la via è aperta!"

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